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Medicina generale

Microbiota intestinale e malattia renale cronica

2 Ago 2018

Oggi torniamo a parlare del microbiota intestinale, indagando la relazione che intercorre tra questo e la malattia renale cronica.

Sappiamo che la composizione del microbiota intestinale, nei pazienti affetti da malattia renale cronica, è completamente diversa da quella del soggetto sano: tale squilibrio è denominato “disbiosi”Con la perdita progressiva della sua funzione il rene perde la capacità di eliminare sia le sostanze provenienti dal metabolismo umano, sia quelle del suo simbionte, il microbiota intestinale. Alcune di queste sostanze sono annoverate nella categoria delle tossine uremiche: tra quelle di derivazione intestinale le principali e più studiate sono p-cresil solfato (PCS) e indossile solfato (IS). La disbiosi indotta dall’uremia è riconducibile a una serie di fattori: col declino della funzione renale il colon assume il ruolo di organo emuntore e l’escrezione di urea nello stesso modifica il microambiente chimico. Il conseguente innalzamento del pH del colon esercita una pressione selettiva a favore di specie ureasi-positive, che sono responsabili della conversione dell’urea in ammoniaca. Ciò determina una degradazione dello strato protettivo di muco e un’alterazione della permeabilità intestinale per distruzione delle tight junction. In conseguenza di ciò si ha il passaggio di materiale batterico attraverso la mucosa e l’attivazione di un meccanismo infiammatorio cronico locale e sistemico, dovuto alla traslocazione di frammenti batterici in circolo, come indica la presenza ematica di DNA batterico delle specie intestinali, evidenziata da alcuni studi scientifici.

A seconda del substrato che i batteri utilizzano per ricavare energia, il microbiota può seguire due vie metaboliche principali:

  • saccarolitica che dovrebbe prevalere in un intestino in salute e che si verifica con una produzione di acidi grassi a catena corta che, oltre a inibire la crescita dei patobionti, sono dotati di un’azione trofica per l’epitelio del colon e di un’azione endocrina locale e sistemica. Sono anche caratterizzati da un’attività antinfiammatoria, esercitata in modo diretto sia tramite un signaling su alcune cellule immuni tra cui i neutrofili, sia grazie all’induzione, attraverso meccanismi epigenetici, del differenziamento dei linfociti T Reg con attivazione di un fenotipo tolerogenico, piuttosto che proinfiammatorio;
  • proteolitica che si verifica in caso di squilibri alimentari caratterizzati da carenza di carboidrati complessi a causa della mancanza di substrato disponibile per la fermentazione. I batteri utilizzano gli amminoacidi non con funzione anabolica, ma a scopo energetico, con conseguente produzione delle tossine uremiche. I prodotti della putrefazione proteica inducono effetti tossici: i metaboliti più studiati sono PCS, IS e TMAO (trimethylamine N-oxide). Quest’ultimo è un derivato del catabolismo di prodotti essenzialmente di origine animale, contenenti colina, fosfatidilcolina, carnitina e betaina. Il PCS e l’IS, che nei pazienti con MRC raggiungono livelli anche 100 volte superiori rispetto al soggetto sano, derivano invece dalla degradazione degli amminoacidi aromatici, quali triptofano, fenilalanina e tirosina. Queste sostanze sono caratterizzate da un’attività pro fibrotica, proinfiammatoria e di induzione di stress ossidativo a livello renale, ma soprattutto a livello cardiovascolare.

Dieta nella malattia renale cronica

La disbiosi è peggiorata inoltre dalla tradizionale gestione nutrizionale del paziente nefropatico, soprattutto negli stadi più avanzati, che prevede una stretta restrizione delle fibre, con ulteriore sbilanciamento del metabolismo microbico in direzione proteolitica. La riduzione delle fibre diminuisce infatti il substrato per la fermentazione saccarolitica; le fibre favoriscono inoltre il transito intestinale il cui rallentamento costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo della malattia renale cronica, dato che un aumentato transito favorisce, fra le altre cose, l’escrezione dei composti azotati. Nella MRC, il microbiota deve essere perciò considerato un nuovo fattore di rischio non tradizionale, che può essere modificato grazie per esempio all’inserimento di fibre nell’alimentazione, come avviene per esempio nel caso della dieta mediterranea. Quest’ultima, anche se non è tradizionalmente considerata ottimale per il paziente nefropatico, è una dieta naturalmente prebiotica, capace di spostare l’equilibrio in direzione saccarolitica, oltre a contenere composti nutraceutici dalle capacità antiossidanti e antinfiammatorie.

Nella malattia renale cronica, l’alimentazione ideale è rappresentata dalla restrizione di proteine e sale, e da un buon introito di fibra alimentare.

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