Update per il Pediatra
Metabolismo

La vitamina D – la vitamina del sole

14 Mar 2022
A cura di 

Sergio Rosini1 , Gianantonio Saviola2 , Luigi Molfetta3

1 CRB – Biomaterial Research Center, Livorno

2 Istituti Clinici Scientifici Maugeri, IRCCS Castel Goffredo, Castel Goffredo

3 Università di Genova, Scuola di Scienze Mediche e Farmaceutiche, Dipartimento DISC,

Centro di Ricerca su Osteoporosi e Patologie Osteoarticolari

Introduzione

Questo fascicolo non ha la pretesa di riportare tutte le conoscenze acquisite sulla vitamina D (Vit D) in circa un secolo di studi. Lo scopo è quello di fornire una visione di insieme e la conoscenza dei meccanismi che ne regolano l’attività, in modo da consentire un uso consapevole e appropriato di questo poliedrico e fondamentale ormone.

La Vit D, evoluta per oltre 750 milioni di anni, può essere considerata indicatore dello stato di salute e del benessere.

Vitamina D3, la Vitamina del sole

Quella che usualmente viene chiamata vitamina D (Vit D) è in realtà uno dei più antichi, verosimilmente il più antico, ormone sintetizzato dalle prime forme di vita sulla terra. È accertato che il Fitoplancton, che ha abitato il mare primordiale, lo abbia prodotto e mantenuto per oltre 700 milioni di anni 1,2.

La Vit D è quindi un ormone che ha seguito tutta l’evoluzione dalle prime forme unicellulari fino ai mammiferi superiori e in special modo fino alle forme con uno scheletro osseo dove, tra le varie attività svolte, ha regolato l’assorbimento intestinale del calcio (Ca) e ha svolto un’azione modulatrice del metabolismo osseo. L’importanza della Vit D si estende, tuttavia, anche a funzioni diverse da quelle legate all’osso; prova ne sono i numerosi recettori distribuiti nelle cellule di quasi tutti i tessuti e la capacità di altrettante cellule di sintetizzare direttamente al loro interno il metabolita attivo, ovvero l’ormone calcitriolo [1α,25(OH)2D], partendo dal precursore 25(OH)D, per svolgere anche un’azione autocrina e paracrina.

La Vit D è stata definita la “Vitamina del sole”, e in effetti, nella maggior parte degli organismi, dai più semplici ai più complessi ed evoluti, l’irraggiamento solare nello spettro 290-315 nm (UVB) è idoneo a ottenere le quantità necessarie di Vit D, in considerazione del fatto che anche una dieta ottimale non riesce a fornire più del 10% delle quote necessarie. È l’irraggiamento solare che consente la trasformazione del 7-deidrocolesterolo (7-DHC), presente tra gli strati lipidici delle membrane cellulari dei cheratinociti epidermici e dei fibroblasti del derma, in pro-Vit D3 e poi in pre-Vit D3 che isomerizza termicamente a 7-deidrocolecalciferolo o Vit D3.

Una volta formatasi, la Vit D3 viene lentamente espulsa negli spazi extracellulari, dove viene legata da una proteina carrier (DBP) e trascinata nel circolo. Questo lento passaggio fa in modo che, anche nel caso di un’eccessiva esposizione agli UVB, la stessa Vit D e la pre-VitD3 continuino ad assorbire UVB e vengano trasformate in fotoprodotti inattivi (suprasterolo 1-2; tachisterolo). È stato calcolato che non più del 10-20% dell’iniziale pro-Vit D3 viene trasformata in pre-Vit D3.

Questo fa comprendere come non sia necessario restare per lunghi tempi esposti agli UVB, i quali possono anche determinare danni genetici delle cellule epidermiche. Mentre i raggi UVA (320-400 nm), che a differenza dei raggi UVB sono presenti durante tutte le stagioni dell’anno, possono anche comportare danni alla struttura del DNA delle cellule degli strati più profondi.

L’importanza dell’irraggiamento solare per la produzione di Vit D è in gran parte dovuta alla scarsità di questo principio negli alimenti, che può rappresentare forse meno del 10% della quantità necessaria.

La Vit D3 è presente in quantità apprezzabili solo nel classico olio di fegato di merluzzo, ma anche nei salmoni e aringhe, dove sono presenti quantità di Vit D3 intorno alle 100.000 UI/kg (quantità anche maggiori nel fegato di tonno); anche la carne di salmone o le aringhe ne possono avere circa 10.000 UI/kg, meno negli altri pesci.

Diversamente dai pesci, le carni presentano anche il metabolita 25(OH)D3; il fegato e il rene ne hanno le maggiori quantità, ma solo nell’ordine di circa 5-10 mcg/kg. La Vit D3 è tuttavia presente nel fegato di manzo, nel rene (circa 250 UI/kg) e anche nei tagli classici, ma in quantità assai minori. Le uova ne sono abbastanza ricche, ma contengono anche molto colesterolo. I latticini ne contengono piccolissime quantità 3.

Si deve comunque ricordare che i valori di Vit D sopra riportati riguardano gli alimenti non cotti, in quanto la temperatura può determinare perdite di Vit D, ma anche del suo metabolita epatico il 25(OH)D, di grado variabile e oscillante dal 5-10-20% o più, a seconda della temperatura, del tipo di cottura e del tipo di alimento.

È quindi evidente che la produzione cutanea è vitale per raggiungere il fabbisogno di Vit D, ma è altrettanto chiaro che la capacità sintetica della cute dipende da numerosi fattori, quali il periodo dell’anno, la latitudine, l’altezza sul livello del mare, il tipo di carnagione, l’età, il tempo di esposizione e altre variabili.

Prima di affrontare questo argomento si deve comunque precisare che esiste un secondo simile ormone, di origine vegetale, ovvero l’ergocalciferolo o Vit D2, originato dall’azione degli UVB sulla molecola dell’ergosterolo, presente nelle membrane cellulari vegetali. La Vit D2 svolge nel nostro organismo un’azione simile a quella della Vit D3, sia pure con minore efficacia, quindi anche la Vit D2, presente in alcuni alimenti, può parzialmente contribuire alle funzioni svolte dalla Vit D3.

È importante chiarire che non sempre, durante la giornata, i raggi del sole hanno la potenza necessaria a operare la fotolisi del 7-DHC: questa avviene quando sono più diretti e perpendicolari alle aree cutanee scoperte, ovvero intorno alle ore 12,00, con maggiore efficienza tra le 11,00 e le 14,30 solari. Nelle ore precedenti o successive l’efficacia dei raggi ultravioletti è progressivamente inferiore fino a essere inattiva.

Anche una diffusa nuvolosità può ridurre l’azione degli UVB, ma non la annulla come invece avviene per il passaggio degli UVB attraverso un vetro o attraverso una diffusa applicazione di creme solari. È stato osservato che il livello di radiazione UVB debba essere di almeno 20 mJ/cm2. Si calcola che una crema solare con protezione 8 possa ridurre la capacità della pelle di produrre Vit D3 di circa il 95% 4 (Fig. 1).

Ovviamente la latitudine e il periodo dell’anno hanno una grande influenza sull’efficacia degli UVB a causa della maggiore entità dello strato di ozono che questi debbono attraversare e che dipende dall’inclinazione che assumono nelle diverse condizioni. Ne consegue che alle nostre latitudini, nel periodo invernale, si produrrà poca o nessuna Vit D3, e in generale l’efficacia degli UVB diminuisce quanto più ci si allontana dall’equatore.

A titolo di esempio si riportano alcuni casi: alla Latitudine di 42°N (tra Roma e Firenze) e nei mesi tra novembre e febbraio non si produrrà pre-Vit D3; questo periodo di assenza di produzione si amplia da ottobre a marzo se ci spostiamo a una Lat. di 52°N (Berlino), mentre tra i 18° e 34° di Lat. N si produce pre-Vit D3 durante tutto l’anno nelle ore più centrali (11,00-14,30).

È ovvio che alle latitudini italiane, così come alle altre latitudini dell’emisfero Nord, i mesi più favorevoli a un’efficacia dei raggi ultravioletti sono quelli centrali, da maggio ad agosto, durante i quali avrà importanza la durata dell’esposizione. Sempre come esempio, a giugno, alle ore 12,00, in 5’ lo 0,8% del 7-DHC è convertito a pre-D3, in 20’ il 2,5% del 7-DHC è convertito a pre-D3 e in 35’ il 3,3% del 7-DHC è convertito a pre-D3. Questi valori verrebbero ridotti di circa il 20% dalla presenza di nubi 3,5 (Fig. 2).

Il motivo per cui la stagione e la latitudine influenzano così grandemente l’irraggiamento è legato alla diversa inclinazione dei raggi solari che nel periodo invernale raggiungono la terra con traiettoria più obliqua, nonostante sia più vicina al sole, e pertanto devono percorrere una distanza maggiore. Lo stesso fenomeno avviene quando ci si sposta verso Nord. In maniera analoga, anche l’altitudine (altezza sul livello del mare) influenza in qualche misura l’efficienza dei raggi solari: fino a circa 1200-1300 metri di altezza si ha una fotolisi uguale a quella che si verifica a 700 m, mentre salendo a 3000 m la produzione di pre-Vit D3 e altri fotoprodotti è quasi raddoppiata.

A confermare ancora l’importanza dell’irraggiamento solare e della Vit D nel regolare numerosi processi vitali, si ricordi che la scomparsa dei grandi Sauri è stata attribuita al prolungato oscuramento intervenuto per effetto della caduta di un asteroide sulla terra, coadiuvato, forse, dall’intensa attività vulcanica del periodo mesozoico, entrambi eventi che determinarono un totale offuscamento dell’atmosfera e un’assenza di irraggiamento solare.

Altra importante variabile riguarda la pelle, ovvero il colorito di questa e la presenza di melanina, la quale tende a rendere variabile la produzione di Vit D3. Le pelli più chiare hanno bisogno di tempi di esposizione al sole assai più brevi rispetto al fototipo 3, che è il più comune nelle nostre aree; man mano che il colorito cutaneo diviene olivastro o più scuro (fototipo 5 e 6) i tempi di esposizione necessari a ottenere una buona conversione a Vit D3 aumentano, in quanto la maggiore presenza di melanina compete con i 7-DHC per gli UVB e quindi funziona come un filtro naturale. Ovviamente l’irraggiamento consente di raggiungere livelli di Vit D3 tanto più rapidamente quanto più ampia è l’area esposta, per raggiungere poi un plateau abbastanza stabile dopo alcuni giorni di esposizione anche per tempi limitati (20-30 minuti per volta) (Fig. 2).

In un esperimento del 1980 veniva irradiata ogni 2 giorni un’area controllata di pelle durante 15’; i dati ottenuti mostravano un costante aumento del 25(OH)D3 plasmatico, senza differenza tra uomo e donna, fino a raggiungere un aumento di 0,024 nmol/cm2 di pelle irradiata e un plateau dopo 17 giorni. Gli Autori ritengono che un irraggiamento su tutto il corpo, anche per brevi periodi, conferisca un rapido aumento della concentrazione del 25(OH)D3 già dopo poche esposizioni 6.

È stato calcolato che una persona di media età in costume da bagno ed esposta a 1 dose minima eritematosa (MED) di UVB può produrre una quantità di Vit D3 equivalente a quella ottenibile con una dose orale di 10.000-20.000 UI (la MED è la quantità di UVB necessari a dare un lieve arrossamento cutaneo).

È noto che la Vit D3 prodotta a livello cutaneo richiede un tempo assai più lungo per entrare in circolo rispetto a una supplementazione per via orale: in quest’ultimo caso occorrono circa 10 ore per raggiungere il massimo livello ematico, mentre dopo irraggiamento occorrono 24-30 ore perché la Vit D prodotta nella cute possa entrare in circolo.

È importante rammentare che la Vit D3 è liposolubile e che può essere immagazzinata nei grassi i quali possono divenire, almeno negli obesi, dei sequestratori irreversibili in grado di trattenere anche fino al 50%, rispetto ai non obesi, delle quantità di Vit D3 prodotta dagli UVB 7. Oltre alle varie differenze mostrate dalla nostra pelle nel grado di conversione del 7-DHC a Vit D3, si deve aggiungere che con il passare degli anni viene a cambiare non solo lo spessore della pelle, che tende ad aumentare linearmente fino a circa 20 anni di età per poi diminuire ancora linearmente fino all’età più avanzata, ma cambia anche la concentrazione cutanea del 7-DHC (pro-Vit D3) e la capacità della sua trasformazione a pre-Vit D3. Mentre nel derma la concentrazione del 7-DHC è relativamente costante tra gli 8 e i 92 anni, la diminuzione nell’epidermide è costante e non è giustificata dalla diminuzione della massa totale di questa 8. Nonostante queste variazioni, è stato calcolato che dopo i 70-75 anni l’epidermide, per un’adeguata esposizione al sole, può ancora produrre Vit D3, sia pure con una riduzione del 25-35% rispetto a un soggetto ventenne.

Il derma è invece uno scarso produttore di pre-Vit D, rappresentando meno del 20% dell’intera produzione. Questi dati suggerirebbero come anche le persone più anziane possano produrre adeguate quantità di Vit D3, ma solo con un’esposizione ai raggi solari (od altre forme di UVB) per tempi più prolungati rispetto ai giovani. Considerato che le creme solari riducono drammaticamente il processo di produzione della Vit D cutanea, non sembra consigliabile un’esposizione solare prolungata negli orari centrali della giornata per il ben noto rischio di tumori cutanei, oltre che per il rischio di incorrere nel “colpo di calore” (Fig. 3).

Pertanto, vista l’importanza del ruolo svolto dalla Vit D in numerose funzioni del nostro organismo, è logico pensare che, qualora non sia possibile o consigliabile sottoporsi a un’adeguata esposizione solare, sia necessario ricorrere a supplementi di Vit D2 e/o D3 per via orale o iniettiva. È necessario però tener ben presente che non tutti i soggetti possono beneficiare nella stessa maniera della Vit D e non solo a causa di un diverso dosaggio o dei livelli basali del metabolita epatico 25(OH)D, bensì per le differenze individuali delle risposte geniche che possono variare ampiamente. In uno studio del 2013 Carlberg et al. somministrarono Vit D3 a dose di 3.200 UI/dì per 5 mesi a soggetti prediabetici, ma trovarono un profondo cambiamento nell’espressione genica dei monociti periferici (PBMC) solo in circa il 50% dei soggetti 9. Più recentemente in uno studio di Shirvani et al. del 2019, individui adulti e sani deficienti di Vit D ricevettero per 6 mesi dosi diverse di Vit D (600-4.000-10.000 UI) 10; i risultati mostravano come il supplemento di 10.000UI/dì aveva prodotto alterazioni genetiche (1.200 geni) quattro volte maggiori rispetto alla dose di 4.000 UI, nonostante che non vi fossero apprezzabili differenze nei valori del PTH raggiunti. Anche alla dose di 600 UI/dì, pur non modificando il PTH, si sono verificate variazioni in circa 100 geni.

È pertanto possibile che nella popolazione generale gli effetti della Vit D possano esprimersi in modi differenti in quanto alcuni individui ne possono beneficiare più di altri, come si può constatare dai diversi risultati ottenuti negli studi clinici. Infatti, ben 2.000 geni sono regolati, direttamente o indirettamente, dal metabolita attivo della Vit D 1α,25(OH)2D; questa importante attività influenza un ampio numero di funzioni biologiche, inclusa la proliferazione cellulare e il differenziamento terminale, l’angiogenesi, la produzione di insulina, l’induzione dell’apoptosi, l’inibizione della produzione di renina, lo stimolo alla produzione di catelecidina da parte dei macrofagi. Tutto questo oltre alla capacità di autoregolare la sua stessa distruzione, aumentando l’espressione della 24-idrossilasi che conduce alla formazione di metaboliti inattivi 11.

Non sorprenderà quindi che individui diversi possano reagire alla Vit D in maniera diversa (Fig.4).

Key Points
  • La Vit D è l’ormone più antico della storia degli esseri viventi, presente già nel Fitoplancton.
  • La Vit D è chiamata “Vitamina del Sole”, perché il suo percorso metabolico viene iniziato dal sole, tramite i raggi UVB che trasformano il 7-deidrocolesterolo in pro-Vit D3 e pre-Vit D3 (nella cute), in Pre-Vit D2 (nei vegetali) e successivamente nella Vit D attivata (1α,25(OH)2D).
  • La Vit D è scarsamente contenuta negli alimenti che possono fornire circa il 10% del fabbisogno.
  • Lo stato dell’epidermide condiziona la formazione della Vit D.
  • La Vit D regola direttamente o indirettamente ben 2000 geni e questo conduce a una diversa reattività individuale.
  • La latitudine, la stagione e l’orario di esposizione (che condizionano l’incidenza dei raggi solari), il fototipo, l’altitudine, l’età, le creme solari, il passaggio attraverso i vetri sono ulteriori fattori che condizionano il processo di formazione vitaminica.
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