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Salute e Sanità

La certificazione di attività sportiva non agonistica: un’opportunità per richiamare qualche nozione pratica di Cardiologia pediatrica

14 Nov 2024
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a cura di Piercarlo Salari, pediatra e divulgatore medico scientifico – Milano

 

 

Con l’inizio dell’anno scolastico si assiste anche alla graduale ripresa delle attività ludiche e sportive e, conseguentemente, delle richieste di certificazioni per palestre, piscine e centri atletici. Naturalmente l’attività motoria è sempre da incentivare e le controindicazioni assolute sono rare, ma in un’ottica di responsabilità professionale il pediatra può talvolta ritrovarsi ad affrontare due situazioni: la rilevazione di un soffio all’auscultazione, con il dubbio se procedere o meno con un approfondimento specialistico in un contesto di benessere e di apparente normalità; oppure, come nel caso della rilevazione occasionale di un’alterazione all’ECG e del parere sfavorevole di un medico dello sport, la necessità di supportare genitori comprensibilmente allarmati nella corretta interpretazione di un referto o di proporre al loro bambino un’eventuale alternativa.

Una premessa è innanzitutto doverosa: “Spesso il medico sportivo vede il bambino la prima volta e, per quanto possa raccogliere un’anamnesi dettagliata, nel corso di una sola visita non può acquisire una conoscenza della storia clinica paragonabile a quella del suo pediatra curante” afferma il professor Francesco De Luca, Direttore della Cardiologia Pediatrica dell’Ospedale Santo Bambino di Catania (Azienda Ospedaliera/Universitaria Vittorio Emanuele). “In secondo luogo, un riscontro negativo merita sempre una valutazione attenta, alla quale il pediatra, se necessario con il supporto del collega cardiologo, può dare un contributo insostituibile: un sospetto diagnostico, infatti, oltre a comportare in via cautelativa la sospensione, anche solo temporanea della pratica di attività motoria, agli occhi dei genitori può trasformarsi in un carico gravoso di ansia e di preoccupazione. Da qui la comune tendenza a effettuare molteplici indagini costose e spesso inappropriate, che a loro volta si ripercuotono sul benessere psicofisico di un bambino già provato dalla frustrazione di non sentirsi al pari degli altri”.

Alla luce di questa considerazione è bene quindi procedere a un approfondimento, attenendosi ad alcune basilari conoscenze di Cardiologia pediatrica.

 

L’anamnesi

La raccolta anamnestica deve rappresentare sempre il primo step dell’approccio clinico. “Nella visita per la certificazione alla pratica dello sport spesso viene ingiustamente trascurata l’anamnesi familiare, che consente di identificare oltre il 60% delle condizioni che giustificano una limitazione o una controindicazione di un’attività” commenta De Luca. “Sono sufficienti poche domande, a partire dal riscontro di casi di morte improvvisa al di sotto dei 40 anni: un valido riferimento è il questionario proposto dall’American Academy of Pediatrics riportato in bibliografia. Per quanto riguarda il bambino, una prima informazione necessaria è se abbia mai presentato perdita di coscienza e dolore al torace, tra le cause principali di accesso al pronto soccorso. In caso affermativo è necessario chiedere il contesto in cui tali episodi si sono verificati: nella maggior parte dei casi la sincope è di origine vaso-vagale e non necessita di ulteriori approfondimenti ad esclusione di un semplice ECG, ma è da approfondire se si sviluppa durante l’attività fisica o in posizione sdraiata a letto. Per quanto riguarda il dolore toracico è fondamentale sapere se è localizzato o migrante, se è continuo o scompare dopo qualche secondo e se è correlato alla respirazione e compare solo sotto sforzo. Un altro quesito da porre riguarda il confronto con gli altri compagni di gioco, in particolare se il bambino si stanca molto prima di loro”

A completamento dell’anamnesi sono poi utili altri elementi, tra cui la regolarità e l’adeguatezza dell’accrescimento corporeo, oltre a eventuali patologie concomitanti e a pregressi episodi di cianosi.

 

L’esame obiettivo: dalla misurazione della pressione al “verdetto di innocenza” di un soffio

Come è noto, a partire dal terzo anno di vita la misurazione della pressione arteriosa, effettuata con un bracciale adeguato alla circonferenza del braccio del bambino, dovrebbe essere effettuata almeno una volta l’anno, riportando in cartella i valori rilevati da riscontrare con le tabelle dei percentili di riferimento per l’età.

Per quanto riguarda i soffi, “nella metà dei bambini fino a 9-10 anni si può rilevare, per un periodo della vita, un soffio innocente, che poi solitamente scompare salvo poi ripresentarsi in corso di febbre o di altre condizioni” precisa De Luca. “Il soffio deve essere annotato e monitorato nel tempo, per esempio in occasione dei bilanci di salute, e un semplice criterio per stabilirne l’innocenza consiste nel verificare se la sua intensità si riduce in posizione seduta”. Va poi ricordato che il soffio innocente nella quasi totalità dei casi compare dopo il primo anno di vita, è sistolico (un soffio diastolico non cambia con la posizione, non è mai innocente e deve essere indagato con un’ecocardiografia) e non pregiudica alcuna attività sportiva.

 

L’aritmia: uno spettro inquietante

I casi di morte improvvisa lasciano sempre sgomenti e destano ancor più sorpresa e scalpore quando si verificano in atleti. “Anche se nei bambini è un evento eccezionale – l’incidenza è di 2 su 100mila – per il pediatra è necessario conoscere alcune condizioni di rischio”, afferma De Luca. “Innanzitutto, va precisato che, di base, i bambini hanno una frequenza cardiaca più elevata rispetto all’adulto e molto variabile: per esempio a 7 anni una frequenza cardiaca a riposo di 130 bpm è del tutto normale e non configura una tachicardia.

Va poi sottolineato che un terzo dei casi di morte improvvisa nei ragazzi e negli sportivi è dovuto a cardiomiopatia ipertrofica, rarissima in età evolutiva ma tale da triplicare il rischio nei bambini che praticano sport rispetto a quelli che conducono una vita sedentaria. Nell’identificazione di questa patologia l’elettrocardiogramma bene eseguito ha praticamente la stessa sensibilità di un’ecocardiografia e si rivela perciò uno strumento di notevole efficienza diagnostica. Le aritmie più pericolose, responsabili del 3-5% dei casi di morte improvvisa, sono riconducibili a canalopatie familiari e sono rappresentate soprattutto dalla sindrome del QT lungo e di Brugada: nel QT lungo il decesso ha luogo sotto sforzo, quando la frequenza cardiaca è elevata, mentre nella sindrome di Brugada a riposo.

Se la cardiomiopatia ipertrofica può essere facilmente intercettata sul tracciato ECG, una seconda causa, responsabile del 16% dei casi di morte improvvisa, può passare del tutto inosservata ed essere purtroppo diagnosticata soltanto in sede autoptica: si tratta dell’origine anomala delle coronarie, che può essere riconosciuta soltanto da un ecocardiografista esperto, in quanto lo studio sulla origine e il decorso delle coronarie, già di per sé più difficile, non viene sempre effettuato in una ecocardiografia di routine”.

In definitiva le aritmie potenzialmente fatali sono fortunatamente poche e rare in pediatria. Di comune riscontro sono invece le extrasistoli, sopraventricolari e ventricolari: “Sono facilmente riconoscibili all’ECG e devono essere studiate con attenzione” aggiunge De Luca. “Quando sono monomorfe, ossia presentano le stesse caratteristiche, isolate e sporadiche sono benigne e non richiedono approfondimento. Diversamente sono indicati un Holter cardiaco e un test da sforzo su tapis roulant: la riduzione numerica o la scomparsa delle extrasistoli con l’aumento della frequenza cardiaca confermano la benignità del fenomeno e rassicurano il pediatra sulla possibilità di rilasciare il certificato di idoneità sportiva”.

 

Riferimenti bibliografici

 

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