Medicina di Famiglia e Specialistica
Dislipidemie

Acido bempedoico: una nuova opportunità nella gestione delle dislipidemie nel paziente a rischio alto e molto alto

17 Lug 2024

Dr.ssa Elena Sarugeri
MD, PhD – Medical Writer

Introduzione

Le patologie cardiovascolari (CV), prevalentemente di origine aterosclerotica (ASCVD), sono responsabili di oltre 4 milioni di decessi all’anno in Europa1. Il principale fattore patogenetico dell’aterosclerosi è la ritenzione nella parete arteriosa del colesterolo contenuto nelle lipoproteine a bassa densità (C-LDL) e altre lipoproteine ricche di colesterolo contenenti ApoB. Alla luce delle evidenze accumulate negli ultimi anni, è ormai un fatto appurato che livelli elevati di C-LDL circolanti sono correlati causalmente all’ASCVD e che ridurre il più possibile le LDL e le altre lipoproteine contenenti ApoB riduce le patologie cardiovascolari1.

Le attuali strategie di prevenzione dell’ASCVD hanno quindi come obiettivo principale la riduzione dei livelli di C-LDL, che deve essere tanto maggiore quanto più alto è il rischio CV del singolo paziente. Le linee guida ESC/EAS del 2019 per la gestione delle dislipidemie definiscono per ogni categoria di rischio CV un livello target di C-LDL, tanto più basso quanto maggiore è il rischio del paziente1 (Fig. 1).

Nei pazienti a rischio molto alto (comprendenti pazienti con ASCVD documentata, SCORE ≥10%, ipercolesterolemia familiare con ASCVD o un altro fattore di rischio, nefropatia cronica severa, diabete mellito con danno d’organo), il target di C-LDL è pari a 55 mg/dl, associato a una riduzione ≥50% rispetto ai valori basali1.

Controllo dei livelli di C-LDL in Europa

Nonostante le raccomandazioni delle linee guida, la maggioranza dei pazienti a rischio CV alto e molto alto non raggiunge gli obiettivi raccomandati con la terapia ipolipemizzante: è quanto emerso anche dallo studio osservazionale SANTORINI, condotto in 14 Paesi Europei tra il 2020 e il 2021 per verificare l’utilizzo della terapia ipolipemizzante nei pazienti a rischio alto o molto alto e per valutare il grado di implementazione e l’efficacia delle raccomandazioni fornite dalle linee guida, al fine di rilevare eventuali gap e definire delle adeguate strategie di ottimizzazione della terapia2 (Fig. 2).

Ciò può dipendere da un insufficiente utilizzo delle terapie di combinazione: la terapia ipolipemizzante maggiormente utilizzata è infatti la monoterapia con statine, somministrata al 50,2% dei pazienti, mentre la terapia di combinazione (comprendente statine, ezetimibe, e PCSK9-inibitori) viene assunta solo dal 24% dei pazienti (18,1% di quelli a rischio alto e 26,4% di quelli a rischio molto alto)2.

Un possibile fattore responsabile dello scarso utilizzo della terapia di combinazione potrebbe essere la sottostima del rischio CV da parte dei clinici, con la conseguente scarsa percezione della necessità di ricorrere a un trattamento intensivo nei pazienti a rischio più elevato. A questo riguardo, il raggiungimento dei livelli target di C-LDL più stringenti raccomandati dalle linee guida ESC/EAS del 2019 potrebbe essere favorito da un utilizzo più precoce della terapia di combinazione, che offre diverse opzioni, grazie alla recente approvazione di nuovi farmaci quali l’acido bempedoico2.

Una sotto-analisi dello studio SANTORINI, che ha incluso 1977 pazienti arruolati in Italia, ha evidenziato come solo un quinto dei pazienti ad alto rischio presenti i livelli di C-LDL raccomandati dalle linee guida. Tra i pazienti trattati con farmaci ipolipemizzanti (67,4%), il 21,6% di quelli in monoterapia ha dei livelli di C-LDL ottimali, percentuale che aumenta al 35,1% nei pazienti trattati con terapia di combinazione. Complessivamente, il 79% degli individui a rischio alto e molto alto arruolati in Italia è risultato avere dei livelli di C-LDL non ottimali per la propria classe di rischio3.

L’acido bempedoico: una nuova opzione per il trattamento delle dislipidemie

L’acido bempedoico è un inibitore della sintesi del colesterolo che agisce sull’ATP citrato liasi (ACL), un enzima citosolico situato a monte rispetto all’HMGCoA-reduttasi (target delle statine). L’ACL catalizza la trasformazione del citrato di derivazione mitocondriale in ossalacetato e acetil-CoA, il substrato per la sintesi del colesterolo; la conseguente riduzione dei livelli epatici di colesterolo porta alla sovra-regolazione dei recettori delle LDL e all’aumentata captazione di LDL da parte delle cellule epatiche, con una relativa riduzione dei livelli plasmatici di C-LDL4 (Fig. 3).

L’acido bempedoico è un profarmaco, che deve essere attivato a opera dell’enzima ACSVL1 presente nel fegato, mentre non viene espresso nel muscolo: l’acido bempedoico non sopprime quindi la biosintesi del colesterolo e degli intermedi che derivano dal suo metabolismo a livello muscolare, risultando privo della miotossicità che caratterizza le statine4 (Fig. 4).

Grazie alla sua azione di inibizione della sintesi epatica del colesterolo, l’acido bempedoico si è dimostrato in grado di ridurre i livelli di C-LDL nei pazienti ipercolesterolemici del 30% in monoterapia e fino al 24% e 50% in più quando utilizzato in associazione rispettivamente con statine o ezetimibe4.

L’acido bempedoico è stato valutato in un vasto programma di sviluppo clinico, che ha incluso un ampio spettro di pazienti e diversi regimi di trattamento:

pazienti con ASCVD e/o ipercolesterolemia familiare (FH), in trattamento con statina a intensità alta/moderata5-7;

pazienti con ASCVD e/o FH o prevenzione primaria, intolleranti alle statine8,9;

pazienti con ASCVD e/o FH o prevenzione primaria, trattati con una combinazione a dosaggio fisso (FDC) in aggiunta alle statine10.

Un’analisi cumulativa degli studi di fase III di confronto tra acido bempedoico e placebo, comprendente oltre 3000 pazienti, ha confermato l’efficacia del farmaco, rilevando una riduzione di 19,8 mg/dL nei pazienti con ASCVD e/o FH in trattamento con statine alla massima dose tollerata e di 36,5 mg/dL nei pazienti intolleranti alle statine, variazioni di entità sufficiente a modificare il profilo di rischio CV del singolo paziente. La variazione corretta per il placebo dei livelli di C-LDL alla settimana 12 rispetto al basale è risultata del 17,8% (p<0,001) nei pazienti con ASCVD e/o FH in trattamento con statine e del 24,5% (p<0,001) in quelli intolleranti alle statine11 (Fig. 5).

L’efficacia dell’acido bempedoico non è risultata influenzata né dal tipo di statina utilizzata, né dall’intensità della terapia statinica sottostante, né dalla somministrazione concomitante di ezetimibe, suggerendo la possibilità di utilizzare il farmaco in un ampio spettro di pazienti11.

Acido bempedoico + ezetimibe: un’associazione a dose fissa (FDC)

Poiché acido bempedoico ed ezetimibe riducono i livelli di C-LDL tramite dei meccanismi diversi, rappresentati rispettivamente dall’inibizione della sintesi epatica di colesterolo tramite l’ACL e dall’inibizione dell’assorbimento intestinale del colesterolo, esiste un forte razionale per lo sviluppo di una FDC dei due farmaci4,12,13 (Fig. 6).

L’efficacia e la sicurezza della FDC acido bempedoico/ezetimibe (180/10 mg) nei pazienti con ipercolesterolemia e rischio CV elevato in terapia con la massima dose tollerata di statine sono state valutate nell’ambito di uno studio di fase III, randomizzato, in doppio cieco, che ha rilevato una riduzione percentuale corretta per il placebo dei livelli di C-LDL alla settimana 12 pari al 38% (p<0,001), con un profilo di sicurezza della FDC simile a quello osservato con il placebo o con le rispettive monoterapie10 (Fig. 7).

L’efficacia della FDC è risultata simile in tutti i sottogruppi analizzati, sia in quelli trattati con statine (indipendentemente dal tipo o dall’intensità della statina utilizzata), sia in quelli intolleranti alle statine, suggerendo un possibile ruolo di questa associazione nel migliorare l’efficacia delle terapie ipolipemizzanti esistenti10.

Una tripla associazione (acido bempedoico + ezetimibe + statina)

Nell’ambito di uno studio di fase II, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, è stata valutata l’efficacia della tripla associazione acido bempedoico 180 mg/ezetimibe 10 mg/atorvastatina 20 mg in termini di riduzione percentuale dei livelli LDL-C alla settimana 6 rispetto al basale. La tripla associazione ha determinato una riduzione corretta per il placebo dei livelli di C-LDL di oltre il 60%, consentendo il raggiungimento di livelli <70 mg/dL e <55 mg/dl rispettivamente nel 90 e 58,5% dei pazienti trattati e una riduzione ≥50% nel 95% dei casi. I risultati di questo studio suggeriscono come la triplice terapia possa rappresentare una potenziale strategia di combinazione per un’efficace riduzione dei livelli di C-LDL nei pazienti ad alto rischio CV che non riescono a raggiungere gli obiettivi di trattamento con le terapie convenzionali14.

Gli effetti dell’acido bempedoico sul profilo glicemico

Alcune terapie ipolipemizzanti possono influenzare i livelli di glicemia: mentre i sequestranti degli acidi biliari e i fibrati sembrano migliorare la glicemia, le statine hanno un effetto negativo sul profilo glicemico, potendo determinare un aumento del 9-12% del rischio di sviluppare diabete di tipo 2, a seconda dell’intensità del trattamento. Al fine di valutare l’effetto dell’acido bempedoico sui parametri glicemici (glicemia a digiuno, HbA1c, nuova incidenza di diabete) e stabilirne l’efficacia e la sicurezza nei pazienti con diabete, prediabete o normoglicemia, è stata condotta un’analisi cumulativa degli studi di fase III condotti con acido bempedoico nei pazienti con ipercolesterolemia15. I risultati di questa analisi, che ha compreso oltre 3000 pazienti trattati con acido bempedoico 180 mg o placebo per 52 settimane, hanno evidenziato una frequenza annuale di diabete di nuova insorgenza rispettivamente dello 0,3 vs 0,8% nei pazienti con normoglicemia al basale, e del 4,7% vs 5,9% in quelli con prediabete. Inoltre, nei pazienti con diabete o prediabete, l’acido bempedoico ha ridotto i livelli di HbA1c rispettivamente dello 0,12 e 0,06%, con degli effetti positivi anche sulla glicemia a digiuno. L’effetto ipolipemizzante è risultato simile in tutti i gruppi, indipendentemente dallo stato glicemico al basale, così come il profilo di sicurezza. I risultati di questa analisi dimostrano quindi che il trattamento con acido bempedoico non influenza negativamente il profilo glicemico nei pazienti con diabete, né aumenta il rischio di sviluppo della malattia nei pazienti non diabetici15 (Fig. 8).

Il possibile ruolo dell’acido bempedoico nella gestione delle dislipidemie

I dati real world, come quelli derivanti dallo studio SANTORINI, suggeriscono che nella maggior parte dei pazienti a rischio CV più alto le monoterapie sono insufficienti per raggiungere gli obiettivi raccomandati, ma sono ancora ampiamente prescritte. La sottovalutazione del rischio cardiovascolare e l’utilizzo non ottimale di farmaci ipolipemizzanti non statinici in combinazione con le statine sono tra le cause principali alla base del divario tra i livelli di C-LDL raccomandati e quanto si ottiene nella pratica clinica nei pazienti a più alto rischio CV16.

In uno studio di simulazione condotto su 4486 pazienti dello studio SANTORINI è stato stimato che la percentuale di pazienti con C-LDL a livelli target potrebbe passare dal 23,1% al 39,7% con l’aggiunta al trattamento con statina di ezetimibe e al 59,5% con l’aggiunta di ezetimibe e acido bempedoico. L’ottimizzazione dell’impiego dell’associazione acido bempedoico+ezetimibe potrebbe migliorare quindi l’implementazione nel mondo reale delle raccomandazioni delle linee guida per una corretta gestione del rischio CV17.

Alla luce delle evidenze disponibili, vi è un consenso a livello internazionale circa l’opportunità di un intervento terapeutico non più focalizzato sull’intensità del trattamento statinico, ma sull’intensità dell’intervento complessivo di riduzione dei livelli di C-LDL nella gestione del paziente a rischio CV alto o molto alto16.

L’approccio sequenziale riportato nelle linee guida del 2019 è stato superato da un documento di consenso dedicato alla gestione dei pazienti a rischio CV molto alto, che indica la terapia di combinazione come strategia di prima linea, sia per i pazienti a rischio molto alto che per i pazienti a rischio estremo18 (Fig. 9).

Sulla base della notevole quantità di dati forniti dalla letteratura, che dimostrano che le terapie di combinazione e l’intensiva riduzione dei livelli di C-LDL si associano a degli evidenti benefici clinici, un panel di esperti italiani ha recentemente pubblicato un position paper che supporta l’impiego precoce della terapia di combinazione. Poiché nella pratica clinica le terapie orali di combinazione permettono di ottenere delle significative riduzioni dei livelli di C-LDL con dei costi minori rispetto agli inibitori di PCSK9, esse dovrebbero essere considerate come prima opzione di trattamento, riservando le terapie iniettabili ai pazienti che non riescono a raggiungere il goal raccomandato. Sulla base di queste considerazioni, il panel propone un nuovo algoritmo di trattamento ipocolesterolemizzante che possa soddisfare le necessità di intervento rapido e intensivo, modulandolo sul rischio CV del singolo paziente16 (Fig. 10).

Conclusioni

Gli studi clinici condotti nel mondo reale mostrano che l’uso di terapie per il trattamento dell’ipercolesterolemia è inadeguato anche nel gruppo di pazienti a più alto rischio CV, con solo il 20% di essi che raggiunge gli obiettivi di C-LDL raccomandati dalle linee guida e un impiego delle terapie di combinazione solo nel 24% dei pazienti. L’impiego della terapia di combinazione come approccio iniziale, in considerazione del più favorevole rapporto costo-efficacia, può favorire un più adeguato controllo dei livelli di C-LDL e del rischio di eventi CV, con dei possibili benefici clinici ed economici16.

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